Annibale Barca

Nel gioco degli scacchi, anche se esistono un vincitore e uno sconfitto, la partita termina realmente quando tutti i pezzi, sia bianchi sia neri, sono giù dalla scacchiera e riposti ordinatamente sul tavolo, prima di finire nuovamente nel contenitore destinato. Ciò che resta è il ricordo di una trama, di strategie di gioco, di mosse, che compongono uno spartito suonato, una sceneggiatura rappresentata, dalle mani e dalle menti dei contendenti. Non rimane la Calabria e l’Italia, l’Italia e l’Europa, l’Europa e il Mondo.

Ognuna di queste entità geografiche non può e non potrà mai esistere senza l’altra. La vittoria non sta nell’ultima mossa, ma nella sequenza dei movimenti sulla scacchiera della storia. I Calabresi hanno degli antenati che vivevano, soprattutto, tra le montagne dell’attuale Sila, ai piedi, lungo tutte le direzioni, di quest’Isola Montuosa. Il loro nome era Bretti, quando ancora i Romani non ne avevano trasformato il nome in Bruzi. Vivevano in quei posti da sempre, oserei dire. Montagne cariche d’alberi che fornivano la migliore legna del Mediterraneo. Se non fosse stato per loro, le armate navali della Magna Grecia, non avrebbero avuto a disposizione il legno giusto e ben stagionato per essere costruite come si deve.

Per secoli essi furono una cosa sola con il legno di quelle foreste. Le difendevano da chiunque osasse mettere in dubbio il predominio su quelle montagne. Combattevano bene e non si hanno ricordi di battaglie perdute sul campo. Un giorno giunse su quelle terre un africano: Annibale Barca. Dopo aver fatto tremare i Romani, che non lo facevano facilmente, fuggì da loro e, scendendo verso Sud, arrivò nella parte settentrionale dell’attuale Calabria. Sapeva bene che combattere gli abitanti di quelle terre non era l’idea migliore e chiese solo ospitalità. Aveva sentito raccontare di loro e sapeva quale fosse il loro punto debole. Era inutile sfidarli: bastava chiedere aiuto e ospitalità. Era furbo il Grande Generale Africano. Non per niente sconfisse i Romani sulla Trebbia, sul Trasimeno, e decimò il loro esercito a Canne come mai nessuno sino allora e in futuro. Mai la Dominante avrebbe tremato di più o trovato un nemico più deciso e coraggioso. Gli abitanti dell’attuale Calabria, sapevamo che dare ospitalità a delle genti odiate dai Romani, li metteva nella condizione di diventare nemici dei Romani: ma era una questione d’onore. L’onore è la sola certezza che consente di offrire fiducia senza condizioni, non perché chi coltiva l’onore, è più onesto, più buono, più saggio, ma perché, come Ercole che basava la sua forza sui suoi capelli, a chi si toglie l’onore si leva la vita. L’onore è quella qualità che permette e obbliga a fare una cosa anche quando non conviene farla. Il tempo poi sciolse le vite e le mischiò. Oltre all’ospitalità, Annibale e i suoi uomini intrecciarono le loro vite a quelle dei Bretti, perché essi rimasero nell’attuale Calabria circa dieci anni. A tal punto che subentrò un’ammirazione reciproca. Fino a quel momento i Bretti non avevano avuto nessun contrasto con i Romani. Sapevano che le loro terre erano però ricche di legno e che la loro abilità nel costruire con il legno era un bene prezioso. Sapevano pure che loro avevano sempre respinto con le armi ogni pretesa di annessione. Aver dato ospitalità ad Annibale, però, cambiava tutto. Cambiava il mondo. I Romani sapevano essere feroci come nessuno se si trattava di mettere in chiaro il destino della loro potenza. Erano la Dominante e non potevano avere alcuna pietà o tentazione di lasciar stare. Mandarono a dire di consegnare Annibale nelle loro mani e loro gli risposero che la cosa non era assolutamente facile. Non era assolutamente onorevole consegnare un ospite al proprio nemico. Anche loro, quindi, diventarono nemici dei Romani.

Quando Annibale decise di ripartire dalla terra calabra per tornare nella sua patria, assediata dai Romani di Scipione l’Africano, lui allora offrì di condividere il suo destino. Lui sapeva, infatti, che appena partito la vendetta Romana non si sarebbe arrestata per niente e per nessuno. La sua terra, poteva diventare anche la loro. “ Andiamo e difendiamola”. Bruciarono tutta la loro storia e lo seguirono in quella nuova terra che è molto diversa dalla Calabria d’allora e di oggi. A Zama i Bretti combatterono a fianco ad Annibale e alcuni di loro lo seguirono, in seguito, durante il suo lungo esilio.

A Zama i Romani vinsero per un puro capriccio del destino. Gli antenati dei Bretti e i veterani di Annibale, insieme, quasi vinsero quella battaglia. Fu l’ultima battaglia dei Bretti. Fisicamente non eravamo diversi dagli abitanti africani che si affacciano sul mare Mediterraneo, quindi fu facile per loro sfuggire alla vendetta Romana. I Bretti sparirono per sempre e diventarono Beduini, Tuareg o Arabi. Ancora adesso il sangue dei Bretti continua a scorrere evidente nel loro sangue. Non si piegarono a Roma e diventarono un’altra umanità per una questione d’onore e di ospitalità. Questo breve resoconto, tra il reale e l’immaginario, in cui reale e immaginario sono non confusi e non divisi, dovrebbe renderci più attenti di fronte alle dinamiche migratorie, mai semplici e, spesso, motivate da questioni inedite e mai ripetibili. La cosa che posso dire, è che la Sila è la casa lasciata secoli fa da molti di coloro che oggi ritornano su delle cose che galleggiano, ma che non hanno nemmeno la dignità costruttiva di quelle navi che i Bretti sapevano costruire. La cosa che posso auspicare è che ognuno di noi pensi meglio e bene alle non facili soluzioni dell’ospitalità, e che non dimentichi che i calabresi lo furono anche di fronte alla certezza di una vendetta da parte di un potere che non ammetteva defezioni. L’ospitalità è sempre problematica e chi semplifica le cose ideologicamente, o mente o non conosce la realtà delle cose e dei fatti. E’ però una questione d’onore, che nel suo significato vero e non mafioso, vuol dire fare qualche cosa anche quando non conviene. Vuol dire farla perché non può esserci una scelta diversa che sia accettabile per la nostra anima.

autore: Isidoro Pennisi


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