di Isidoro Pennisi

Un tesoro è la somma di cose, materiali o immateriali, raccolte, accumulate, conservate insieme, affinché insieme raggiungano un valore che le singole parti, in sé non hanno. Non è sempre detto che il valore di un tesoro possa dividersi esattamente per i pezzi che lo compongono. Per comporre un tesoro, per realizzarlo, serve il tempo e la sconfitta della tentazione di monetizzare ogni sua parte in tempo reale, senza attendere che l’assemblea sia al completo. Il tempo, però, non si può controllare e così come fluisce, così si ferma senza preavviso, quando ancora il tesoro non sembra pronto per essere utilizzato.

Le mappe dei tesori nascosti sono più di quelli realmente esistenti, proprio per questo motivo: si sa che, spesso, chi li accumula non fa in tempo a utilizzarli e per sicurezza li nasconde. In Calabria dorme e sogna un tesoro famoso, che ogni tanto qualcuno si ricorda di cercare: il tesoro di Alarico.

In Calabria Alarico arrivò tagliando in due la penisola, da Nord a Sud, guidando e motivando una grande scorreria. Non aveva obiettivi politici stanziali, ma lo muoveva un istinto di rivalsa, accumulato dalle genti che vivevano sulla riva sinistra del Danubio, costretti a vivere in terre a quel tempo ancora poco ospitali, mentre qui da noi le condizioni climatiche e geografiche presupponevano agi e facilitazioni. Una specie d’invidia organizzata spinse Alarico, Re dei Visigoti, a venire giù, nelle terre tiepide del Mediterraneo, per vedere se ciò che si raccontava era vero. In un certo senso, si può dire che la storia di Alarico e dei Visigoti, è simile alle grandi razzie che, alcune tribù autoctone, del Nord dell’America, promossero e attuarono per verificare, attraverso il bottino, se era vero che quelle genti bianche arrivate d’oltre mare vivevano felici e agiate dentro quei manufatti a loro sconosciuti, che erano le fattorie e i villaggi del West, prodomi di città ancora da costruire. Non si sa se Alarico conoscesse la storia di Roma, o se avesse la cognizione di ciò che i Fenici, i Cartaginesi e i Greci avevano fatto, prima ancora dei Romani. Sicuramente aveva delle informazioni, che furono sufficienti a organizzare una migrazione di massa che lo spinse sino in Calabria, dopo aver razziato e fatto bottino lungo le coste del Mediterraneo e scendendo tutta la Penisola Italica. Arrivò in Calabria, come sempre e com’è logico per chi voglia trovare la strada più corta per spingersi sino in Africa. Questo era il suo obiettivo e sulla costa calabra dello Stretto di Messina allestì una flotta che lo avrebbe portato per mare verso la sua meta. La Calabria, però, da terra di passaggio si trasformò nell’ultimo paesaggio osservato e respirato in vita da Alarico. La storia, narra che quella flotta preparata andò distrutta in una grande mareggiata, ancor prima di partire o appena salpata. Non restò altro da fare, a quel punto, che tornare indietro, risalendo in senso inverso la Calabria. La sua strada, però, era ormai agli ultimi metri e la Calabria, come altre volte con altri viaggiatori meno noti, sarebbe diventata la dimora dell’ultimo rifugio. Arrivato a Cosenza, che nel viaggio di andata aveva razziato, non trovò altro di meglio da fare che morire. La storia e il suo rapporto con la Calabria, sarebbe finita qui, se non fosse per la questione che ancora oggi occupa le intenzioni di persone curiose o avide di tesori. Che fine fece il grande bottino, che Alarico portava con sé? Tra i Tesori della Calabria, paesaggistici, culturali e culinari, quello di Alarico detiene un primato: esiste per principio ma nessuno, diversamente dagli altri tesori calabresi, l’ha mai visto, sentito o assaggiato. Se qualcuno sa qualche cosa tace, come i due fiumi che scorrono dentro Cosenza, il Busento e il Crati, che molti dicono sappiano tutto senza svelare nulla. Due fiumi omertosi. La legenda, infatti, racconta che alla morte di Alarico, questo ingente tesoro fu seppellito sotto il letto del Busento dopo averne deviato temporaneamente il suo corso naturale. Da cosa era composto questo tesoro? Nel caso di Alarico sembra tutto moto semplice. Durante le razzie lungo le coste del Mediterraneo aveva svuotato ogni edificio sacro, normalmente dotato di materiali preziosi, soprattutto oggetti in oro, predisposti all’arredo di quei luoghi. Si può supporre che ci fosse ogni cosa, anche sconosciuta sino a quel momento ai Visigoti, che anche senza saperlo realmente, era intuita come preziosa e rara. Fatto sta che la leggenda racconta che questo tesoro fosse ingente.

Pare che fu cercato senza successo, anche da Federico II, circa un migliaio d’anni dopo. Sembrava un argomento per lui rilevante, non tanto per questioni economiche, ma per via di un sospetto che alle persone intelligenti sovviene sempre.

Un tesoro è anche, in un certo senso, un’eredità senza testamento, e Federico II voleva esserne il beneficiario.

Il Busento e il Crati, però, sono una coppia tenace, che scorre nella vallata da millenni senza dare confidenza e proteggendo i segreti del tempo: questi due fiumi modellano le sponde ed esse li guidano. Un patto topografico, in cui è prevista la riservatezza totale. Forse i due fiumi sanno qualche cosa che noi non immaginiamo. Ad esempio sanno che quel tesoro mai arrivò a Cosenza perché era già stato caricato su quelle navi che, partendo dallo Stretto, appena fuori, in mare aperto, andarono a picco quasi tutte. Sanno, allora, che la Calabria custodisce non tanto un tesoro, ma la delusione di Alarico, che tornando mesto verso Nord, morì di rabbia. Forse, però, i due fiumi, antichi più di noi conoscono qualche altra cosa che a noi sfugge, e che fu detta più di duemila anni fa dal Nazzareno, in un suo famoso discorso. Forse, chi seguiva Alarico, volle fare un omaggio al loro condottiero, e non fece altro che seppellire la sua storia e i suoi sogni, che non hanno meno valore delle pietre preziose, per conservarne un cuore impavido che la geografia della Calabria ancora oggi protegge.

“Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.”


autore: Isidoro Pennisi


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