di Lidia Di Lorenzo

Il terremoto da noi

   Una sera come tutte le altre di un tardo autunno. Temperatura mite. Ore 19.34 e pochi secondi. Chi ha già cenato, chi si accinge a farlo. I ragazzi fanno i compiti, i piccoli giocano esausti; fra poco si addormenteranno in braccio ai nonni. Gli adulti attendono alle loro occupazioni preferite, in poltrona, seduti al tavolo o accanto al caminetto. Qualche televisore è acceso, la gran parte attende l’ora del telegiornale. Il silenzio è il sonoro sottofondo di una sera come tutte le altre di un tardo autunno.

Un tonfo netto alle porte e alle finestre, un sinistro scricchiolio delle pareti, il buio!

Un attimo di smarrimento, poi si individuano le posizioni dei più piccoli ignari, li si stringono tra le braccia, cercando a memoria la via di fuga. I nonni gridano: “Il terremoto! Ci si incontra tutti repentinamente in un sol luogo della casa, e ci si precipita fuori o per le scale, cercando di guadagnare l’uscita. L’oscillazione è forte, le pareti si appoggiano alle braccia, il pavimento sfugge ai passi, lo scricchiolio ora è un cozzare di muri, divenuti vivi e ostili.

Il saggio della casa, investito atavicamente di tale compito, rassicura i familiari: fra poco finirà, state tranquilli! Andiamo al piano di sotto o fuori, lì non c’è pericolo.

Pericolo! In pochi attimi la sensazione di un nuovo pericolo si aggiunge alle paure di sempre. Arriva dal cosmo, da una sfera di pietra, acqua e verde, che ruota nell’universo, che al centro ha rocce fuse e zolle che si agitano, e sulla quale incautamente l’uomo, che si crede sapiente, ha costruito una civiltà fragile.

L’impotenza delle forze umane è forte e tangibile. Ci si affida a Padre Pio, alla Madonna, a Gesù mio! Non ci sono più atei o di fede tiepida. Ad una incontenibile forza naturale si può opporre solo una forza soprannaturale.

Furori è calata una nebbia grigio chiaro su tutte le cose. A passarci dentro si crea un tunnel come nella neve.  Va il pensiero ai parenti vicini e lontani; la sensazione che qualcosa di terribile sia avvenuto non lontano da noi è reale. Ci si conforta con i vicini raccontando cosa si stava facendo nel momento terribile. Ma ci sarà la “replica”, fra un’ora o fra sei o dodici ore, così si dice. Sarà di minore intensità, ormai l’energia è liberata in gran parte. Le successive scosse saranno meno intense. Tranquilli tutti, andiamo a dormire!

Qualcuno dorme in macchina, i più arditi vanno a dormire vestiti, pronti a scappare. Sarà una notte piena di incubi e di pianti dei bambini, ma servirà a non avvertire la successiva scossa delle ore del primissimo mattino.

Solo il giorno successivo si saprà di paesi completamente distrutti, di case sbriciolate e cadute sulle altre, arrampicate sui pendii dei paesi dell’Irpinia, di morti, tanti, e feriti e ancora di sepolti sotto le macerie. Si attiva una generosa gara di solidarietà con i colpiti così duramente: pane, abiti, generi di prima necessità, medicine.

A noi in confronto è andata bene. Qualche lesione alle pareti, qualche tegola o calcinaccio dai tetti. Le chiese hanno subito maggiori danni, data la loro volumetria e le ampie volte. Resteranno chiuse per verificarne la stabilità.

Col passare dei giorni la paura si attenua, il suolo sembra tornato alla sua normale staticità. Si ridiventa voraci, intorno alla ampia fetta di guadagni che gli aiuti statali offrono per la ricostruzione. Si abbattono palazzi storici con delle enormi sfere di metallo e nessuno osa fermarle in nome della Storia. Si rifanno solai e coperture, muri divisori, balconi e terrazzi e il paese cambia colore. Sa di nuovo, più comodo e adatto ai tempi, più sicuro ed efficiente, ma si snatura ed entra nell’anonimato.

Il fenomeno assume dimensioni colossali nelle zone del cosiddetto “cratere” e purtroppo innesca quel vasto fenomeno di corruzione che sfocerà in Tangentopoli.

testo di Lidia Di Lorenzo

Il Mattino del 26 Novembnre 1980


1 commento

GDF · 06/02/2021 alle 9:44

È uno degli episodi della mia infanzia che rimangono più nitidi e dettagliati nella mia memoria, caduto nel giorno del mio onomastico. Vedere gli adulti, quegli stessi che ero avvezzo a considerare un porto sicuro, smarriti e increduli è stata la prima occasione per capire che nella vita ci sono circostanze di fronte alle quali non c’è certezza o baldanza che sopravviva.

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